Sottosoldato
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Quando ero bambino, ogni tanto mi chiedevo se sarei mai arrivato all'anno Duemila. Avrei avuto ben 67 anni, chissà se ce l'avrei fatta. E poi sarebbe stato comunque, come scriveva Gozzano, il momento dell' "orrida vecchiezza dei denti finti e dei capelli tinti". Invece ci sono arrivato e i denti sono quasi tutti "'veri" (non ho nemmeno, grazie alla tecnica delle porcellane moderne, il "sorriso d'oro" che esibiva - solo a mia richiesta - mio padre), i capelli sono bianchi ma sono miei, l'aspetto è decente e funziona ancora più o meno tutto. A voler tentare un bilancio della mia vita, potrebbe anche bastare questo a renderlo accettabile. A voler scavare un po' di più (Angelika sarà contenta), credo che la mia passata condizione di sottosoldato sia stata la chiave di una discreta felicità in tutti i campi. Angelika aborrisce il modo di dire tedesco "man muss sich begnügen", bisogna accontentarsi. E invece bisogna proprio sapersi accontentare, saper trovare il "silver lining" dietro ogni nuvola, non avere fretta, godere del momento che passa, imparare dai propri errori, tendere la mano al prossimo e soprattutto non darsi delle arie e non pensare di avere un "potere" da difendere, potere che non è mai dolce quando lo si ha o si pensa di averlo perché si ha paura di perderlo, e mai così amaro come quando lo si è perduto. Ho lavorato molto perché i miei genitori mi hanno cresciuto nel senso del dovere ma non sono stato un "workaholic", come ho dimostrato non facendo nulla, in assoluta serenità, da quando sono stato "collocato a riposo". Non ho mai ceduto sui principi e non sono mai andato dietro ai potenti, e sono ugualmente riuscito a fare dei lavori bellissimi e adesso ho perfino la "piuma sul cappello" del grado di ambasciatore (magari solo a titolo onorifico e, come dire, con la "a" minuscola rispetto a tanti Ambasciatori "Importanti"). Ma non sono stato come il giovane diplomatico della favola cui appare la fata dai capelli turchini che gli dà il gomitolo di lana della sua vita, e lui lo tira sempre più in fretta, per incarichi sempre più prestigiosi, finchè il gomitolo è finito e non gli rimane più niente: mi rimangono invece tanti ricordi straordinari di momenti grandi e piccini, importanti e non, vicini e lontani, tutti preziosi perchè vissuti, e poi ricordati, uno per uno. Ho naturalmente fatto tantissimi errori ma ho cercato di non perseverare, anzi di analizzarli e, una volta riconosciuti, di imparare da loro. Sono stato spesso ostinato e intransigente ma non per "hubris", semmai per passione e per impazienza, peccati anch'esse ma (spero) non capitali, perché sono peccati di generosità e non di avidità. Ho saputo cambiare idea, per esempio facendo il concorso diplomatico dopo aver gridato sui tetti che i diplomatici sono tutti degli imbecilli: quarant'anni dopo, è un mestiere che rifarei, perché è un modo intelligente e positivo di cercare la pace, di comporre le diversità, di vedere le ragioni degli altri. Ho anche saputo andarmene a fare un lavoro diverso, come quando sono andato all'UNICEF a acchiappare farfalle (come disse poco gentilmente un mio ex collega). Se mai San Pietro mi domanderà un giorno che cosa ho fatto di buono, gli dirò della seduzione di Francesco Forte e dei soldi delle vaccinazioni, che hanno salvato milioni di vite e contribuito a migliorare questo mondo difficile. Non so se ho "servito il Signore", ma ho cercato di farlo "in laetitia", e Gli sono grato di avermi dato dei genitori straordinari, una moglie straordinaria, una figlia straordinaria anche lei (e per questo sono grato anche a sua madre, senza la quale non l'avrei avuta), una vita bella e interessante e la capacità di apprezzarla al suo giusto valore, e di esserne riconoscente. Adesso ho perfino scritto un libro! Non mi posso proprio lamentare.
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About the Book
Il titolo del libro è tratto dal grado che l’autore aveva a sette anni quando i suoi compagni di giochi – tutti più grandi – erano re, presidenti e marescialli, e trovavano che soldato semplice era ancora troppo per lui. Più che ragione di umiliazione e di conseguente insicurezza, questa demozione ha abituato l’autore sin da piccolo a non darsi delle arie e a non credersi importante, nemmeno quando con l’avanzare della carriera e dell’età avrebbe magari anche potuto credere di esserlo. Il taglio del libro è perciò quello di guardare le cose dal basso verso l’alto, di ricordare senza enfasi e spesso "tongue in cheek" una vita per molti versi appassionante, talora utile, sempre vissuta come servizio e mai come occasione di vantaggi personali o addirittura di sopraffazione. In un certo senso, "Sottosoldato" è un non-libro: infrange le regole del passare dal generale al particolare, dall’atmosfera del tempo alla storia privata, e conduce il racconto al rovescio, dalla storia privata alla Storia. E’ come ascoltare una conversazione che non ti riguarda dal divano accanto, come prendere la telefonata di un altro o leggere carte private. Ma solo per scoprire quanto di quelle frasi colte al volo, di quelle pagine d’altri ti interessa, perché riguarda un mondo e una catena di eventi, luoghi e persone, fatti e Fatti. E’ una "storia" che non è un saggio, non è un romanzo, dove ogni idea (e anche la teoria ricavata dall’idea) nasce da una cosa accaduta, dove gli eventi si incrociano e l’immaginazione è un riflesso di cose accadute, parole dette, non invenzione.
About the Author
Marco Vianello-Chiodo, italiano per passaporto, veneziano per educazione, ligure per retroterra, zingaro per vita e cittadino del mondo per sentimento, è stato per quasi cinquant’anni in giro per cinque continenti, cambiando due mogli e tre mestieri: eurocrate, diplomatico e funzionario delle Nazioni Unite. Da quando è "a riposo", vive tra Londra e la Francia non facendo nulla, fingendo di dipingere e giocando a "Scrabble" con Angelika.